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La Parigi di Léo
Malet
(edizioni Il Foglio, 2016)
Il 3 marzo del 1996, moriva Léo Malet, autore di culto in madrepatria ma
altrove sconosciuto ai più, oggetto della mia tesi di laurea Considerato al pari
di Georges Simenon e di Frédéric Dard nel campo del romanzo poliziesco,
Malet è stato l’inventore del néopolar, il giallo tipicamente francese degli anni
’60-’70. Poliziesco, passato surrealista, vena noir, anarchismo e libertà d’esprit
sono le caratteristiche delle opere di Malet che in Francia ha rinnovato il
genere prendendo spunto dall’hardboiled americano e scrivendo una pagina
importante della letteratura francese del ‘900. Sdoganato in Italia dal
compianto Luigi Bernardi (1953-2013) che, negli anni ’90, con sapiente
intuito, ha tradotto la sua Trilogia nera e timidamente approcciato dal Giallo
Mondadori che ha pubblicato quattro inchieste parigine del suo Nestor
Burma, Malet è stato poi tradotto dall’editore Fazi che, dagli anni 2000, gli ha
dedicato 21 titoli interrompendo la sua pubblicazione e riprendendola
quest’anno proprio in onore dei vent’anni dalla sua scomparsa. Ma, giunti nel
2016, Malet resta un autore di nicchia, un prodotto per cultori del genere
appassionati di giallo francese. Nemmeno la spinta editoriale, l’attenzione dei
critici più attenti, le buone intenzioni e la curiosità dei lettori di gialli sono
bastate a rilanciarlo nell’Olimpo degli autori di bestseller. Insomma, a
tutt’oggi, Léo Malet non ha raggiunto la popolarità ma è presente come
un’ombra sugli autori che, dopo di lui, hanno raccolto la sua eredità.